Riforma della giustizia, i dubbi di La Russa: “Non so se vale la pena”

ROMA – C’è il Nordio uno che picchia sui magistrati e riapre il fronte delle intercettazioni, e c’è il Nordio due che «supplica» gli ex colleghi di «non essere aggressivi» e di non trasformare il referendum «in un Meloni sì-Meloni no». Ma a pesare politicamente sulla giornata è invece un pacatissimo La Russa che fa spallucce rispetto alla riforma della giustizia che spaccherà il Paese, fino al referendum. «Io ero per questa legge, ma in fondo già oggi è difficile il passaggio tra pm e giudici». Insomma: «Non so se il gioco valeva la candela», esita la seconda carica dello Stato. Un colpo indigesto, per via Arenula. E per non pochi alleati.
Meno 24 ore alla definitiva approvazione, in quarta lettura al Senato, del ddl di revisione costituzionale che separa le due magistrature, istituisce la Corte disciplinare e i due distinti Csm (con membri eletti, per la prima volta, a sorteggio). Domani, la destra è pronta a festeggiare in strada la data storica, prima di gettarsi nella campagna per il referendum confermativo che il Guardasigilli prevede possa svolgersi «tra fine marzo e metà aprile». E su cui stavolta la destra non ostenta più certezze.
Infatti c’è il Nordio uno che avvisa: «In Italia è una porcheria, la prossima riforma sarà sulle intercettazioni. I magistrati sono responsabili» per le «veline, con le conversazioni captate nelle inchieste. Non dico che le distribuiscono, ma molto spesso ne consentono la diffusione, difatti non indagano sulle fughe di notizie». Ma ecco il Nordio due che, pochi istanti dopo, unisce le mani: «Supplico che cessi l’aggressività, soprattutto delle toghe», in più teme che «se vincesse il no, la vittoria se la intitolerebbero i magistrati, non le opposizioni, e avremmo una politica condizionata di nuovo dalle Procure». Dal suo canto, è il presidente dell’Anm, Cesare Parodi, a replicare a nome delle toghe: «Siamo svincolati dai partiti, e faremo una battaglia nel merito contro questa riforma che danneggia cittadini e giustizia». Anche lui si confronta con l’idea di un esito infausto: «Se perdiamo, magari male, per colpa mia, mi dimetto». In Senato, intanto, corre la discussione generale sulla riforma, il Pd schiera tutti i senatori a parlare, solo un segnale, «c’è ormai un’erosione del pluralismo parlamentare che spaventa», dice il capogruppo dem Francesco Boccia. Per la leader Schlein: «Può votare sì a questa riforma solo chi pensa che un giudice debba obbedire a chi governa. Ma i cittadini devono sapere che la separazione esiste già: oggi solo 20 persone in totale su 9mila magistrati passano da una carriera all’altra».
È la stessa valutazione cui arriva, a sorpresa, persino il presidente del Senato. Che in serata, dalla buvette, non dissimula le sue perplessità. «Ero tra gli artefici della separazione, quella che rendeva difficile il passaggio da una carriera all’altra, come in fondo è tuttora», dopo l’intervento della riforma Cartabia, riconosce La Russa. Dopodiché, si guarda intorno, a un metro c’è anche Nordio, «è giusta la separazione, ma forse il gioco non valeva la candela».
E i due Csm? «L’aspetto dei due Consigli è un tentativo, vediamo se riesce, di ridurre il peso delle correnti. Non so se riesce». Dubbi che autorizzano la stoccata del dem Federico Gianassi, secondo cui «le parole di La Russa segnano una netta presa di distanza e confermano quanto sia profondo il disagio anche all’interno della maggioranza di fronte a questa riforma».
La Repubblica




